Progetto teatro e salute mentale
Dal 2003 il Dipartimento di Salute Mentale AUSL di Reggio Emilia
e Festina Lente Teatro portano avanti un progetto di Laboratorio Teatrale
rivolto agli ospiti, agli operatori del Centri di Salute Mentale.
” La libertà è terapeutica”. Questo c’era scritto sui muri dell”ex
ospedale psichiatrico di Trieste; io sono nata li e la mia pratica teatrale è
iniziata proprio dentro a quei luoghi dove follia e ragione si confondevano di
continuo e la contaminazione tra i significati era evidente dove comportamenti
incerti e poco decifrabili erano fertile humus su cui radicava
entusiasmo e creatività.
Quando inizio le prove di uno spettacolo non applico un metodo intellettuale: ho un
argomento, un idea, una traccia e
soprattutto delle visioni, mi avvicino curiosa agli attori mi lascio
contaminare dai loro movimenti, dai loro sguardi, dai loro pensieri, ma
soprattutto dai loro corpi, corpi potenti, controllati, ingombranti, fragili, corpi
che esprimono silenzio, corpi che parlano.
Corpi che riempiono lo spazio e acquistano sempre di più una consapevolezza
drammatica, una sicurezza sulla forza e sulla fragilità dei movimenti e della
voce.
Corpi che non riescono a mentire. C’è nel gruppo una mescolanza
straordinaria di umanità, che riesce ad amalgamare dolore e piacere, caos e
ordine, follia e normalità, in una continua alternanza di emozioni che
ipnotizzano e incantano, trasformando la fatica del vivere in poesia. I nostri
attori non interpretano dei personaggi ma giorno dopo giorno e prova dopo prova
i loro corpi si fanno più sensibili , i loro gesti più precisi, le loro parole
più incisive.
Le parole degli attori sono raccolte, scritte per essere ricordate e per creare drammaturgia è
fondamentale per questo la presenza di una drammaturga che segue tutte le prove
e che elabora un testo in cui riemergono poeticamente altre parole, altri
concetti, altri significati.
Fare teatro è creare uno spazio di libertà uno spazio in cui si
fa oscillare il significato delle cose ,
uno spazio in cui non si cerca ma si trova, si tenta di trovare, la teatralità
che ognuno di noi possiede e che magari è sepolta nascosta.
Attraverso un duro e rigoroso lavoro fatto di disciplina ed
entusiasmo, di rischio e sacrificio, di contaminazioni reciproche tento di fare
emergere stabilmente ciò che è sepolto e
indifferenziato, tento di indirizzare la spontaneità verso la creatività certo
più disciplinata ma fonte inesauribile di poesia.
Il virus del teatro entra, attraverso piccole fessure, nell’anima fino a
contaminarla , inizia un viaggio dell’anima, una ”lunga malattia” che porta ad
una presa di coscienza che fa emozionare, vacillare.
Il teatro ormai entrato nei
corpi diventa spazio comune dove
si mettono in gioco le nostre contraddizioni e i nostri limiti razionali e le
nostre irrazionalità sempre diverse.
Il mio modo di fare teatro è un mezzo per non restare soli e per
creare legami senza dover rinunciare ai nostri sogni. La percezione verso se
stessi e gli altri cambia, l’ascolto si
amplifica, le differenze di pensiero
vengono accolte, affinità e controversie si amalgamano, si da spazio ad altri
modi di essere, liberandosi da
stereotipi e luoghi comuni che purtroppo ancora accompagnano chi soffre di un
qualsiasi disagio. Il fare teatro da spazio ad
altri sguardi e altre sensibilità
da voce a chi parla dentro di noi.
Il mio pensiero non va solo allo spettacolo finale, ma anche alle
relazioni che nascono e si stabiliscono. Il teatro è un’impalcatura invisibile
e indispensabile per cercare di comprendere la nostra esistenza,
per avere uno sguardo diverso sul mondo, per eliminare i confini, per ascoltare nuove parole, uno spazio in cui
è ancora possibile la meraviglia , la scoperta, la curiosità, l’incontro con gli altri. Come diceva J. Grotowski: “ciò che conta è
l’incontro perché l’essenza del teatro è l’incontro”.
Fare teatro non è discorrere di qualcosa, non è ricerca di
qualcosa ma presenza, atto creativo, gestualità che genera al momento in cui si
compie.
Contaminarsi
è potersi abbandonare
è lasciare che la fragilità emerga e si trasformi in forza
è contagiarsi a vicenda
con miraggi e visioni
senza tentare di dominare il dolore che emerge con potenza
ma osservandolo con
discrezione
del resto è un dolore che
riguarda tutti.
Contaminarsi
è giocare anche con l’ironia
giocare per non doversi difendere
denunciare un mondo che spesso
spaventa e in cui spesso non ci riconosciamo
Contaminarsi
è volere una vita umana
è volere che la nostra diversità
la nostra follia emerga perché solo da essa nasce il nuovo.
Andreina
Garella
Festina
Lente Teatro
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